martedì 23 agosto 2011

mercoledì 10 agosto 2011




MI SONO TRASFERITA ECCO IL MIO NUOVO INDIRIZZO

J'AI TRANSFERE, C'EST MA NOUVELLE ANDRESSE

I HAVE TRANSFERRED, THAT'S MY NEW ADDRESS:

http://mattadaslegare.blogspot.com/





domenica 17 luglio 2011

LISA





Io vado in vacanza, il blog anche.
A dirla tutta ultimamente il mio blog mi ha sussurato di voler andare in pensione, dice di non aver più nulla da dare, sostiene che vuole far altro.
Io l'ho amato tanto per cui mi sento di dover assecondare le sue esigenze.
A questo punto non mi resta che ringraziare chi quotidianamente è passato
e chi involontariamente c'è cascato.
Buone vacanze e che la vita vi regali tutto ciò che desiderate.


Ti immagino girato a guardare il fumo che ho lasciato

sui vestiti usati per l’amore.

Amore terminato, sfumato per le paure di un domani peggiore.

Non c’è nulla da raccogliere. E’ bruciore agli occhi,

è una linea che divide i nostri volti.

La tenerezza che provo per te è immensa,

in questo lutto d’amore.

"Ma le stelle quante sono"


Non voltarti... perchè vivere è come scalare le montagne: non devi guardarti alle spalle, altrimenti rischi le vertigini. Devi andare avanti, avanti, avanti... Senza rimpiangere quello che ti sei lasciato dietro, perchè, se è rimasto dietro, significa che non voleva accompagnarti nel tuo viaggio."




da “Malamore. Esercizi di resistenza al dolore”



Le donne provano la temperatura del ferro da stiro toccandolo. Brucia ma non si bruciano. Respirano forte quando l'ostetrica dice "non urli, non è mica la prima". Imparano a cantare piangendo, a sciare con le ossa rotte. Portano i figli in braccio per giorni in certe traversate del deserto, dei mari sui barconi, della città a piedi su e giù per gli autobus. Le donne hanno più confidenza col dolore. È un compagno di vita, è un nemico tanto familiare da esser quasi amico. Ci si vive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformarlo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza. È una lezione antica, una sapienza muta e segreta: ciascuna lo sa. Maria Malibran, leggendario mezzosoprano, che impara a nascondere le lacrime durante le terribili lezioni di canto inflitte dal padre. Denise Karbon che scia ingessata, Vanessa Ferrari che volteggia con una frattura al piede. La prostituta bambina che chiude gli occhi e pensa al prato della sua casa nei campi. La giovane donna che si lascia insultare e picchiare dal suo uomo perché pensa che quella sua violenza sia una debolezza: pensa di capirne le ragioni, di poterle governare, alla fine. Le migliaia, milioni di donne che vivono ogni giorno sul crinale di un baratro e che, anziché sottrarsi quando possono, ci passeggiano in equilibrio: un numero da circo straordinario, questo di cercare di addomesticare la violenza - la violenza degli uomini - qualche volta andando a cercarla, persino. Perché è un antidoto, perché è un prezzo, perché il tempo che viviamo chiede uno sforzo d'ingegno per conciliare la propria autonomia con l'altrui brutale insofferenza. Le storie che ho raccolto sono scie luminose, stelle cadenti che illuminano a volte molto da lontano una grande domanda: cosa ci induce a non respingere, anzi a convivere con la violenza? Perché sopporta chi sopporta, e come fa? Quanto è alta la posta in palio? Alcune soccombono, molte muoiono, moltissime dividono l'esistenza con una privata indicibile quotidiana penitenza. Alcune ce la fanno, qualche altra trova nell'accettazione del male le risorse per dire, per fare quel che altrimenti non avrebbe potuto. Sono, alla fine, gesti ordinari. Chiunque può capirlo misurandolo su di sé. Sono esercizi di resistenza al dolore.


Poesie Disperse



"I giorni e le notti suonano in questi miei nervi d'arpa.
Vivo di questa gioia malata d'universo e soffro
per non saperla accendere nelle mie parole"

Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, 1982


"Nuvole. Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia.
Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere.
La media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso."


sabato 16 luglio 2011

Incantevole metafora di un sentimento..


Un guanto precipitò, da una mano desiderata
a toccare il pavimento del mondo in una pista affollata.
Un gentiluomo, un infedele, lo seguì con lo sguardo,
e stava quasi per raggiungerlo, ma già troppo in ritardo.
E stava quasi per raggiungerlo, ma troppo in ritardo.
Era scomparsa quella mano e tutta la compagnia,
e chissà se era mai esistita.
Era scomparsa quella mano, e restava la compagnia,
e il guanto e la sua padrona, scivolavano via,
e il guanto e la sua signora, pattinavano via.
Sotto un albero senza fiori, si struggeva l'amore amato.
Il guanto era a pochi passi, irraggiungibile e consumato.
In quella grande tempesta d'erba, non era estate né primavera,
e non sembrava nemmeno autunno, però l'inverno non esisteva.
Quando un uomo da una piccola barca, con un mezzo marinaio,
vide qualcosa biancheggiare.
Un uomo da una piccola barca, sporgendosi sul mare,
era il guanto che rischiava di annegare,
era il guanto che rischiava di affondare.
Fu un trionfo di conchiglie, un omaggio di fiori,
per il guanto restituito alla banalità dei cuori.
A una spiaggia senza sabbia a una passione intravista,
a una gabbia senza chiave ad una vita senza vista.
A una gabbia senza chiave ad una vita senza vista.
E intanto milioni di rose, rifluivano sul bagnasciuga,
e chissà se si può capire,
che milioni di rose non profumano mica,
se non sono i tuoi fiori a fiorire,
se i tuoi occhi non mi fanno più dormire.
Era la notte di quel brutto giorno, i guanti erano sconfinati.
Come l'incubo di un assassino, o i desideri dei condannati.
Dietro al Guanto Maggiore, la Luna era crescente
e piccoli guanti risalivano la corrente
e piccoli guanti risalivano la corrente.
fino al Capo dei Sogni e alla Riva del Letto,
dell'innocente che dormiva, un mostro sconosciuto
osservava non osservato,
sopra a un tavolo il guanto incriminato,
sopra al tavolo un guanto immacolato.
Ed il guanto fu rapito in una notte d'inchiostro,
da quel mistero chiamato amore,
da quell'amore che sembrava un mostro.
Inutilmente due nude mani, si protesero a trattenerlo,
il guanto era già nascosto, dove nessuno può più vederlo.
Il guanto era già lontano, quanto può più saperlo.
Oltre la pista di pattinaggio e le passioni al dì di festa,
e le onde di tutti i mari.
E il trionfo nella tempesta e le rose nella schiuma,
il guanto era volato, più alto della Luna,
il guanto sera volato più leggero di una piuma.
Oltre il luogo e l'azione e il tempo consentito
e l'amore e le sue pene.
il guanto si era già posato in quel quadro infinito
dove Psiche e Cupido governano insieme,
dove Psiche e Cupido sorridono insieme.


L'invitation au voyage



Mon enfant, ma soeur,
Songe à la douceur
D’aller là-bas vivre ensemble !
Aimer à loisir,
Aimer et mourir
Au pays qui te ressemble !
Les soleils mouillés
De ces ciels brouillés
Pour mon esprit ont les charmes
Si mystérieux
De tes traîtres yeux,
Brillant à travers leurs larmes.

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.

Des meubles luisants,
Polis par les ans,
Décoreraient notre chambre ;
Les plus rares fleurs
Mêlant leurs odeurs
Aux vagues senteurs de l’ambre,
Les riches plafonds,
Les miroirs profonds,
La splendeur orientale,
Tout y parlerait
À l’âme en secret
Sa douce langue natale.

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.

Invito al viaggio

Bimba mia, mia sorella
pensa alla dolcezza
d’andare a vivere insieme laggiù !
Amare a bell’agio,
amare e morire
nel paese che ti somiglia
I soli umidi
di quei cieli torbidi
hanno per il mio spirito gli incanti
sì misteriosi
dei tuoi occhi infidi
che brillano attraverso le lacrime
Tutto, laggiù, è ordine e beltà
lusso, calma e voluttà.

Mobili rilucenti,
levigati dagli anni,
ornerebbero la nostra stanza;
i più rari fiori,
che uniscono i loro odori
ai vaghi profumi dell’ambra,
i ricchi soffitti,
gli specchi profondi,
lo splendore orientale,
tutto parlerebbe,
segretamente all’anima
la sua dolce lingua nativa
Tutto, laggiù, è ordine e beltà
lusso, calma e voluttà.

Guarda su quei canali
dormir quei bastimenti
dall’estro vagabondo:
solo per saziare
ogni tuo desiderio
vengono dai confini del mondo.
I soli occidui vestono i campi,
i canali, l’intera città,
di giacinto e d’oro;
s’addormenta il mondo
in una calma luminosità.
Tutto, laggiù, è ordine e beltà
lusso, calma e voluttà.





Di corsa, di nascosto di Francesco Botti


Una serie di racconti che hanno come protagonisti maschi omosessuali "normali", senza lustrini e al di là dello stereotipo. Vicende di uomini che si amano, si aiutano, si vendicano, sognano e lottano come tutti gli altri, ma spesso di corsa e di nascosto. Come il giovanissimo Ettore, tutto preso a capire se stesso e il mondo fingendo d'essere eterosessuale, tra scrupoli religiosi e ormoni da domare. Uomini che piacciono alle donne perché sanno piangere, ma non per questo sono simili a loro. Storie di resistenza e di dignità oppure di giochi esclusivi tra maschi che s'incontrano tra i profumi dei giardini botanici o nelle tenebre degli annunci via internet. Segreti mantenuti per anni e poi rivelati in un attimo, nella nitida luce delle campagne toscane o tra gli ingorghi esistenziali di una Milano frettolosa. Racconti notturni. Notti dalle quali scappare in punta di piedi per le scale, perché sarebbe sempre e comunque difficile spiegare. Notti vissute tra amici, eroi oppure vigliacchi, uniti e solidali nel risolvere situazioni improvvise o complici di scoperte scabrose. Militanti senza slogan o parate, tutti presi a salvare se stessi, ma anche la memoria dell'amore e dei legami che proprio nell'urgenza si rinsaldano.

Prenditi cura di lei di Kyung-Sook Shin



Una donna scompare alla stazione di Seul.
Doveva salire sul treno con il marito che camminava davanti a lei, come al solito.
C’era folla.
Quando il marito si è girato indietro per vedere dove fosse, lei non c’era più.
Aveva sessantanove anni, o forse settantuno - era d’uso, per scaramanzia, per ingannare la morte, dichiarare in ritardo la nascita di un bambino. L’anziana coppia era venuta a Seul dal villaggio in cui abitava per festeggiare il compleanno di entrambi.
In genere uno dei figli veniva a prenderli alla stazione, questa volta erano tutti impegnati. O distratti da altre occupazioni. Per ritrovarla vengono affissi volantini con la sua fotografia, offrendo una ricompensa per informazioni utili.

Quante storie sono state già scritte su donne che scompaiono?
Che mollano casa e famiglia, mariti-padroni e figli sfruttatori, semplicemente perché non ne possono più?
Oppure donne che, a qualunque età, decidono di avere diritto alla loro vita, magari con un altro uomo, una vecchia o nuova amicizia?
Il romanzo Prenditi cura di lei della scrittrice coreana Kyung-Sook Shin è diverso da qualunque possiamo avere già letto.
A turno, una figlia, un figlio, il marito, prendono la parola per parlarci di lei, e di loro stessi, la sua famiglia.
Park So-nyo, la moglie e mamma, interviene per ultima, a chiudere il cerchio, a svelare di sé cose che gli altri non possono sapere
, a completare l’immagine.
E così noi conosciamo la donna come la conoscono gli altri e come lei conosce se stessa.

Clandestinità


venerdì 15 luglio 2011

Fuggirò per sempre.....



“Fuggirò per sempre in fondo alla solitudine.

Prenderò il volo e mi librerò verso il mare.

Conoscerò il sapore delle brezze del largo.

Ascolterò le forti urla delle tempeste.

I flutti tumultuosi culleranno il mio sonno,

e mi riposerò nella burrasca”

Renée Vivien


Era nata a Londra, da padre scozzese e madre statunitense di Jackson. Crebbe a Long Island (New York), Parigi e Londra; infine emigrò ancora giovanissima in Francia.

Nell'ambiente "bohémien" parigino il suo stile di vita e il suo suo modo di vestire erano altrettanto noti dei suoi versi: viveva lussuosamente, era apertamente lesbica, e aveva una relazione con l'ereditiera e scrittrice americana Natalie Clifford Barney. Ebbe inoltre per tutta la vita una passione per una sua amica intima d'infanzia, Violet Shillito, che però rimase sempre sul piano platonico.

Vivien era colta ed aveva viaggiato molto. Aveva passato un inverno in Egitto, visitato la Cina ed esplorato l'Europa e gli USA. I suoi contemporanei la considerarono bella ed elegante, grazie anche ai capelli biondi e agli occhi scuri con riflessi dorati. I digiuni protratti (un'abitudine che avrebbe poi contribuito alla sua morte) l'avevano resa anche relativamente magra.
Viveva lussuosamente a Parigi, in un elegante appartamento a piano terra che si apriva su un giardino alla giapponese. La sua casa era piena di mobili ed opere d'arte provenienti dal lontano Oriente. Inoltre, amava i fiori freschi.

Renée Vivien romanzò la morte e, in una sua visita a Londra nel 1908, profondamente abbattuta e oberata dai debiti, tentò il suicidio ingerendo una quantità eccessiva di laudano. Si distese sul divano, tenendo un mazzo di violette sul cuore. Il tentativo di suicidio fallì, ma in Inghilterra contrasse la pleurite e tornò a Parigi considerevolmente indebolita, tanto da essere costretta a camminare con un bastone.

Morì il 18 novembre 1909, all'età di 31 anni, a causa della pleurite e dell'indebolimento fisico dovuto ai frequenti digiuni. La sua morte fu riportata a quel tempo come suicidio, ma fu probabilmente il risultato di un'anoressia nervosa aggravata dalla pleurite e dall'alcolismo. Fu seppellita al cimitero di Passy, nell'esclusivo sobborgo parigino. Curiosamente, il poeta Arthur Rimbaud era morto lo stesso giorno nell'anno 1891.

Durante la sua breve vita, Renée Vivien fu conosciuta anche come la "Musa delle violette", soprannome dovuto al suo amore per questo fiore, richiamo al suo amore d'infanzia, Violet Shillito.

Molti dei suoi versi sono velatamente autobiografici e scritti in francese, e la maggior parte di essi non è mai stata tradotta in inglese, sua lingua madre.