giovedì 19 febbraio 2009

IL RAGAZZO DALLA RISATA MAGICA


Tra i doni che la natura offre, capita a volte di scoprire in noi stessi caratteristiche che apparentemente non hanno alcuna utilità. Così al figlio della portiera era toccato sin da bambino il dono di una risata articolata e irresistibile. Chiunque si trovava nel suo raggio di ascolto, si sentiva travolto da un fluire convulso di risa che costringeva a piegarsi in avanti per smorzarne in qualche modo l'intensità. Così i compagni di scuola prima e gli amici poi, lo pregavano di fare la risata, divertendosi poi a goderne gli effetti irresistibili. A sedici anni, un anziano negoziante del quartiere gli aveva offerto una somma di denaro con la richiesta di recarsi al funerale di un ricco avversario, che lo aveva tormentato e disprezzato per tutta la vita. L'accordo consisteva nel seguire il feretro fino a constatare la massima affluenza di persone e poi lanciare la risata. Il negoziante gli aveva promesso un ulteriore compenso se ciò avesse coinciso col passaggio del corteo funebre sotto le finestre di casa sua. E per felice coincidenza era accaduto che la risata irresistibile guizzasse nell'aria proprio là dove la via passava sotto il balcone al quale era affacciato, completamente vestito di bianco, l'avversario del morto. Un vero e proprio boato di risa era salito dalla via facendo ondeggiare il corteo funebre. Perfino la vedova tratteneva a stento il singulto del riso, nascondendosi dietro il lungo velo di pizzo nero. Anche l'autista del carro funebre, piegato in avanti col volto rigato di lacrime per l'eccessiva ilarità, si appoggiava col petto sul volante per mantenere l'andatura solenne, senza improvvisi sbandamenti. Avvicinandosi alla chiesa il riso poco a poco era scemato e il corteo si era ricomposto in un'ordine afflitto e partecipe. Dopo questo episodio, che il giornale locale aveva documentato con tanto di fotografia, stimando l'evento come inspiegabile, il figlio della portiera era partito per il servizio militare. Aveva indossato di malavoglia la divisa e gli scherzi dei commilitoni lo immalinconivano al punto da spegnere in lui ogni traccia della risata. In questo stato di doverosa e prevedibile mestizia che caratterizza la vita nelle caserme, passarono alcuni mesi. Il giorno solenne del giuramento, però, proprio al momento dell'alzabandiera, il figlio della portiera aveva dovuto subire la propria risata senza poterla inibire in alcun modo. Così, davanti a ufficiali e generali, nell'immensa piazza d' armi ricolma di fanti schierati in bell'ordine, la massa dei militari che ridevano, cominciò a ondeggiare. Migliaia di mani irrigidite nel saluto militare caddero verso il basso a frenare i ventri dalle convulsioni del riso. Anche i parenti che assistevano alla cerimonia si abbandonarono al flusso delle convulsioni, dando alla risata una spettacolarità senza precedenti. Qualche giorno dopo il giovane coscritto fu convocato dal capo di stato maggiore che gli propose il congedo immediato per gravi motivi psicologici. Al suo ritorno a casa c'era chi mormorava di misteriose insufficienze fisiologiche che avevano causato il congedo e provocavano soffocate risatine nelle ragazze del quartiere quando, a frotte, capitava loro di incrociare "il riformato" e addirittura sul muro della sua abitazione qualcuno aveva scritto "1968 classe di finocchi". Il ragazzo aveva cercato di spiegare che il congedo era dovuto al potere della sua risata e invano aveva organizzato degli esempi in palestra o al circolo. Tutti ridevano sì, ma di lui. Anche la figlia del cartolaio che di solito lo salutava con grazia, dopo il suo ritorno lo guardava appena e gli dava il resto senza sorridere. Il suo professore di ginnastica ormai in pensione, che ora dirigeva una piccola televisione privata, si era ricordato di lui e gli aveva proposto di partecipare, a pagamento, a tutte le trasmissioni cosiddette comiche, insieme a un gruppo di giovani pagati per ridere a ogni battuta del comico di turno. L'incaricato con un cenno della mano dava il via al ragazzo che trascinava con sè il piccolo coro di professionisti della risata, il pubblico presente in sala e infine raggiungeva gli spettatori nelle loro case. Il figlio della portiera aveva un ruolo centrale nel meccanismo, tanto che le rare volte in cui per malattia era costretto a rimanere assente, la trasmissione perdeva quello smalto misterioso di ilarità e acquisiva un ché di sinistro. Lo pagavano bene e lui non ascoltava neppure ciò che il comico diceva. Si limitava, da ubbidiente solista, a dare risposta al cenno dell'incaricato. Si trattava di fare qualche risata, al massimo una diecina, e già il suo compenso era tre volte superiore al salario del padre. Ma il numero delle lettere degli spettatori che elogiavano la risata magica aumentava sempre più, tanto che il vecchio professore di ginnastica decise di accontentare le infinite richieste di chi voleva "vedere" l'autore di quei suoni fluenti e irresistibili. Il ragazzo venne truccato da clown e messo alle spalle del comico. Ogni qualvolta il comico e presentatore smetteva di parlare, il clown si abbandonava alla sua magistrale risata che serpeggiava nella sala, piegando i presenti come il vento piega il grano maturo. Il comico era convinto che fossero le sue battute a suscitare tanta emozione, ma dovette ricredersi perchè i telespettatori non ne vollero sapere e chiesero che venisse eliminato anche lui per godersi indisturbati la risata del clown. Così la trasmissione, intitolata "La risata magica" consisteva ormai in una diecina di risate esilaranti, cui faceva eco la platea dei presenti, mentre quella dei telespettatori lontani diventava sempre più numerosa, tanto che i prodotti più prestigiosi chiedevano di essere pubblicizzati nel programma tra una risata e l'altra. Anzi, una delle ditte più note del paese volle acquistare in esclusiva la registrazione della risata magica per lanciare i suoi prodotti su scala internazionale, ma il fiasco fu totale. La risata registrata, infatti, perdeva ogni magia, creando piuttosto in chi la udiva un vuoto di desolazione e mestizia. Il figlio della portinaia aveva ormai raggiunto una popolarità molto vasta e poteva scegliere quanto e come servirsi della risata. La figlia del cartolaio era tornata a sorridergli e lui l'aveva invitata al cinema. Si erano visti spesso, ultimamente, scambiandosi segreti e confidenze. Lui non si decideva a baciarla e come massimo gesto di affetto le posava una mano sulla fronte. La ragazza si chiamava Linda e corrispondeva perfettamente al proprio nome. Le mani bianchissime e la fragranza che emanava dal suo corpo rivelavano infatti una particolare dedizione alla pulizia. Sapeva della caratteristica risata e delle infinite vicende che ne erano scaturite eppure non aveva mai chiesto al ragazzo di dedicargliene una, magari sommessa, così, anche solo per gustarne la magia. Si accontentava di quella mano posata ogni tanto sulla sua fronte e godeva al pensiero di quante altre ragazze ormai le invidiavano tanta intimità. Le piaceva pensare che forse un giorno si sarebbero impegnati davvero e avrebbero avuto dei figli e uno di loro magari avrebbe ereditato dal padre quella rara prerogativa, assicurandosi un futuro altrettanto fortunato. Il ragazzo veniva invitato a grandi feste ufficiali e faceva amicizia con uomini potenti e a volte senza scrupoli. Alcuni gli proponevano ricchezze illimitate in cambio di un uso perverso delle sue prerogative, altri lo incitavano a intraprendere la carriera politica, certi che la sua popolarità non avrebbe avuto limiti. "Il potere di far ridere la gente, amico mio" gli aveva detto un ministro con le lacrime agli occhi dopo un'impeccabile risata " è assai superiore a qualsiasi altro. Nella storia umana intere masse sono state soggiogate con la paura e il dolore. Immagina un pò, caro figliolo, saper avvolgere l'intera umanità in un'unica, fragorosa risata." Ma il ragazzo non si lasciava sedurre da progetti che stimava "più grandi di lui" e ascoltava le lusinge dei potenti come se non lo riguardassero. Finalmente i genitori di Linda erano partiti per celebrare le nozze d'argento e la ragazza lo aveva invitato a farle compagnia. Anche di notte. Tutto era poi avvenuto nella massima spontaneità e naturalezza. I gesti che da mesi non li univano impedendo che tra loro si creasse l'intimità, ora fluivano copiosi. Nel grande letto dei genitori la figlia del cartolaio aveva manifestato una particolare abilità nella tenerezza e nell'amore. Il ragazzo quella sera aveva vissuto emozioni ben più vaste di quelle che in genere la risata gli procurava. Dopo un'intera notte di beatitudini si era addormentato fra le braccia della trepida Linda. Ma la ragazza era troppo eccitata e felice per cedere al sonno e rimaneva ben desta, a fissare affascinata il volto addormentato del suo compagno d'amore. "Mi fai la risata?" gli sussurrò all'orecchio. Nel sonno il figlio della portinaia rispose. Con un mugolio sommesso, ma rispose. "Fammi la risata, ti prego" ripetè la ragazza e lo baciò sulle palpebre chiuse. Il ragazzo alzò leggermente il capo come di solito faceva per dare l'avvio al suo riso convulso, ma si abbandonò a un pianto sommesso, inconsolabile. Quel pianto così struggente e disperato avvolse la ragazza e anche lei cominciò dolcemente a singhiozzare. Continuò fino alle prime luci del mattino quando, esausta, a sua volta si abbandonò al sonno.

2 commenti: